Fonte: www.corriere.it
Cronache «Testamento biologico, il medico può dire no»
La proposta di legge firmata Veronesi: possibile l’obiezione di coscienza sulla decisione del paziente
Nei secoli scorsi c’era la paura di morire anzitempo. Oggi c’è quella di sopravvivere oltre il limite naturale della vita, in una condizione artificiale. Ognuno deve avere il diritto di decidere sul termine della propria esistenza
MILANO — Se la morte è il termine naturale della vita umana, di fronte alla possibilità di allontanare questo confine chi deve porre limiti e a quali condizioni? La tecnologia? Le istituzioni? I medici? «Io penso che ognuno di noi ha il diritto di autodeterminarsi e di esprimere cosa vuol fare nel caso si trovasse in condizioni che lo privano della sua identità e dignità. Ognuno deve essere libero di scegliere». E’ il senatore Umberto Veronesi a parlare. Il Veronesi medico si ferma di fronte al confine tra vita artificiale e morte naturale. E affida a uno stringato disegno di legge il suo modello di testamento biologico. Il caso Eluana Englaro ha fatto cambiare idea all’ex ministro della Sanità («Non serve una legge, basta il notaio», diceva fino a poco tempo fa). Ora la legge occorre. «Disposizioni in materia di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di volontà», è il titolo del ddl 972 che porta la sua firma. Nove articoli in tutto. Si aggiunge alla decina di altri testi in attesa di giudizio... parlamentare.
«La mia legge — spiega — non riguarda il tema dello stato vegetativo permanente nella sua globalità, ma solo il diritto di ogni cittadino di rifiutare questo modo innaturale di terminare la propria vita. Oggi la decisione di come e quando prolungare l’assistenza è completamente nelle mani dei medici, mentre invece è diritto inalienabile di ogni cittadino decidere se iniziare o quando lasciare il trattamento di sostegno». A Veronesi non piace il termine accanimento terapeutico («E’ un controsenso linguistico»). «Compresa l’alimentazione e l’idratazione artificiale».
«In passato—aggiunge il senatore Pd — c’era la paura di morire anzitempo. Oggi c’è quella di sopravvivere oltre il limite naturale della vita, in una condizione artificiale, priva di coscienza e di vita di relazione ». Conseguenza dell’ipertecnologica medicina moderna. Un limbo che «pone la società di fronte a dilemmi sconosciuti alla storia e al pensiero». E che ha portato a un movimento, negli Stati Uniti e in Europa, favorevole alla possibilità di esprimere, in condizioni di normalità e di lucidità mentale, le «direttive anticipate» che i medici devono rispettare «nel caso che un danno cerebrale grave impedisca la consapevole espressione di assenso o di dissenso alle cure proposte». Un movimento che ha scatenato il dibattito tra medici e pazienti, tra laici e credenti, tra politici appartenenti agli stessi partiti.
Per i medici contrari al testamento biologico c’è l’obiezione di coscienza: «E’ data la possibilità al medico che ha in carico il paziente di non seguire le indicazioni di volontà anticipate, se questo contrasta con le sue convinzioni etiche, affidando il paziente ad altri medici». E ai veti del Vaticano risponde: «Chi ha fede sceglierà di affidarsi a Dio. O, ancora per fede, rifiuterà trattamenti che potrebbero salvarlo (le trasfusioni di sangue per i Testimoni di Geova). Chi non ha fede, potrà affidarsi ai poteri della scienza medica o scegliere di stabilire dei limiti».Mario Pappagallo
Mario Pappagallo
13 novembre 2008
Potrebbe essere una proposta interessante, ma sono certa che scatenerà un putiferio prima ancora di essere discussa come proposta in Parlamento ...
che ne pensate?
Per muoversi agevolmente nelle diverse problematiche oggetto della bioetica, si pubblica qui di seguito il glossario comparso il 19 marzo scorso su www.corriere.it
legge 40, legge 194, ru486: che cosa sono e perche' se ne discute
Il glossario di bioetica
Una spiegazione sintetica ma completa dei termini più ricorrenti: da«aborto» a «testamento biologico»
ABORTO - L’interruzione della gravidanza può essere volontaria o involontaria.
- L’aborto involontario o spontaneo riguarda l’8-10 per cento di tutte le gravidanze e raggiunge la massima incidenza tra il 2° e 3° mese: la causa può essere «naturale» (malattie materne, alterazioni del feto, cause genetiche) o «incidentale» ( traumi fisici o psichici, avvelenamenti ).
- L’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è regolata in modo diverso nei vari Paesi. In Europa è vietato in Irlanda, Malta e Polonia mentre è di fatto depenalizzato in Portogallo. In Italia è regolata dalla legge 194. Negli Stati Uniti è un diritto costituzionale dal 1973, ma in molti Stati è apertamente ostacolato. In India è di fatto tollerato, in alcuni Paesi come in Cina è addirittura imposto come misura di controllo della popolazione. Tutte le principali religioni, con diverse sfumature, sono contrarie all’aborto volontario. Tra i cristiani, i più aperti sono gli anglicani, che non lo approvano ma considerano il conflitto tra i diritti di persone differenti (la madre e l’embrione). I mussulmani sono contrari, ma lo ammettono in casi particolari (stupro o gravi problemi di salute della donna) solo nei primi tre mesi, nell’ebraismo è vietato ma talvolta ammesso per gli stessi motivi nelle prime quattro settimane. L’argomento principale contrario all’aborto risiede nella convinzione che l’embrione sia persona umana fin dal momento del concepimento e che quindi l’aborto costituisca omicidio.
I sostenitori dell’IVGconsiderano la legalizzazione dell’aborto, accompagnata dalla promozione della contraccezione e dall’assistenza alla donna, uno strumento per combattere la piaga degli aborti clandestini e pongono l’accento sul diritto di scelta della donna.. Secondo un discusso studio dell’Oms (Lancet 2007) nel mondo il tasso di IVG nei Paesi che prevedono per legge questa possibilità e uguale o talvolta inferiore a quello stimato nei Paesi dove è praticata solo clandestinamente: 28 per mille donne incinte in Europa, dove è quasi ovunque legale, contro 29 per mille in Africa, dove è quasi ovunque proibito.
Il numero totale di aborti nel mondo dal 1995 al 2003 è sceso da 46 milioni (35 ogni 1000 donne) a 42 milioni (29 per mille) all’anno, ma il calo si è verificato soprattutto nei Paesi ricchi. Ogni anno infine sono praticati nel mondo 20 milioni di aborti clandestini che provocano la morte di 67mila donne.
ACCANIMENTO TERAPEUTICO - E’ l’insieme della cure praticate su una persona , che prevedono l'uso di macchinari e farmaci allo scopo di sostenere artificialmente le funzioni vitali di individui affetti da patologie inguaribili. L’accanimento terapeutico è vietato dal codice deontologico dei medici. I problemi si pongono quando la sospensione delle cure comporta sofferenze per il malato, che deve quindi essere aiutato con un’adeguata «terapia del dolore».
CURE PALLIATIVE - E’ l’insieme dei trattamenti per i pazienti affetti da malattie evolutive e irreversibili, che si propongono di controllare i sintomi , e in particolare il dolore, anche con l’uso di oppiacei. Lo scopo principale è quello di assicurare, attraverso un’assistenza continua al malato (e alla sua famiglia) una migliore qualità di vita più che la sopravvivenza. Le strutture dedicate alla cure palliative si chiamane hospice, nei quali il ricovero può essere permanente o provvisorio associato a cure domiciliari. Secondo il 68% dei medici (ricerca Italeld –Fnomceo, 2007) «una sufficiente disponibilità di cure palliative di qualità previene quasi tutte le richieste di eutanasia o suicidio assistito».
CLONAZIONE - E’ la riproduzione di un organismo geneticamente identico all’organismo donatore della cellula impiegata, cioè la creazione di un organismo senza che vi sia una riproduzione sessuatan (che quindi prevede la creazione di un nuovo codice genetico). Nel processo di clonazione viene presa una cellula qualunque somatica («del corpo», non una cellula germinale) . Se ne estrae il nucleo, e questo viene impiantato in un ovocita precedentemente privato del nucleo. L’ovocita con il nucleo della cellula somatica, può essere impiantato in un utero, svilupparsi, crescere e dare vita ad un clone, ed in questo caso si parla di «clonazione riproduttiva». Sperimentata sugli animali, è ovunque vietata con cellule umane. Diverso è il caso della «clonazione terapeutica», che ha un obbiettivo soltanto di ricerca, in cui con lo stesso procedimento vengono create cellule staminali embrionali (senza procedere allo sviluppo di un embrione e tantomeno all’impianto in utero) , che si pensa possano essere usate a fini terapeutici , in quanto perfettamente compatibili con il donatore della cellula. Le sperimentazioni di clonazione terapeutica sono ammesse, sotto rigido controllo, in Gran Bretagna.
EUTANASIA - Intervento attivo e volontario per porre fine alla vita di un malato, nell’impossibilità della guarigione, che non sia la semplice sospensione di cure o trattamenti. In Italia è vietata per legge, è ammessa soltanto in Olanda, Belgio e depenalizzata in Svezia. Il «suicidio assistito», in cui il paziente deve possedere la capacità di intendere e volere, è ammesso in Oregon (Usa) e depenalizzato in Svizzera. Il 17% dei medici italiani sarebbero disposti a praticare l'eutanasia attiva o il suicidio assistito (Lancet, novembre ’99), il 67% degli italiani sarebbe favorevole alla sua legalizzazione (Indagine Eurisko) .
FECONDAZIONE ETEROLOGA - Si verifica quando nella procreazione assistita viene utilizzato il seme oppure l’ovulo di una persona esterna alla coppia. Per questo esistono banche del seme che conservano liquido seminale o più raramente ovuli. Vietata in Italia è regolata in modi molto diversi nei vari Paesi. E’ generalmente ammessa nel caso di fecondazione intracorporea ( con uso di sperma estraneo alla coppia) con diverse limitazioni (per es. solo in coppie sposate) , quella extracorporea (in vitro) è ammessa in alcuni Paesi con regole diverse: in Gran Bretagna e Spagna possono accedervi anche le coppie conviventi e le donne single, in Austria e Svezia sono escluse le single, la legge tedesca è simile a quella italiana, in Francia è ammessa solo dopo il fallimento di quella interna alla coppia. Particolari legislazioni riguardano il diritto di conoscere i dati del donatore (in Gran Bretagna e Austria ), la possibilità di fecondazione post-mortem (ammessa in Gran Bretagna e Spagna) e «l’utero in affitto» , ammesso in Gran Bretagna e California
LEGGE 40 - Approvata nel febbraio 2004, la legge regolamenta la fecondazione assistita, ponendo una serie di limitazioni: vieta la fecondazione eterologa ( cioè utilizzando il seme di terze persone), limita a 3 ovuli per volta i tentativi di fecondazione e impone di trasferire in utero tutti e tre gli ovuli, vietando la conservazione per congelamento degli embrioni, vieta di verificare la presenza negli embrioni di malattie genetiche e quindi di selezionare quelli sani, vieta la ricerca scientifica sugli embrioni (in particolare l’utilizzo delle cellule staminali embrionali). La fecondazione assistita è ammessa solo alle coppie eterosessuali in età fertile e dopo accertamento di sterilità o infertilità. E’ prevista inoltre l’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario. Un referendum abrogativo di quattro articoli della legge viene bocciato nel 2005, per non avere raggiunto il quorum dei votanti ( 25,9%). Secondo dati del luglio 2007 la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi sono diminuite dopo la legge: passano dal 24,8% del 2003 al 21,2% del 2005 con una riduzione di 3,6 punti percentuali. Le forti limitazioni all’uso della fecondazione assistita hanno inoltre provocato un consistente flusso verso centri esteri: le coppie che vanno all' estero per avere figli sono quadruplicate, secondo l' Osservatorio del turismo procreativo , mete prescelte Spagna, Svizzera, Belgio, Londra. Nuove frontiere Salonicco, in Grecia, o la Turchia.
LEGGE 194 - Approvata il 22 maggio 1978, confermata nell’81 da un referendum che ha respinto (68% di no) la richiesta di abrogazione, è la legge che regolamenta l’aborto volontario. Secondo la legge l’aborto è possibile nei primi tre mesi di gravidanza; dopo i 90 giorni è possibile l’aborto terapeutico, in caso di grave pericolo per la salute della donna, o quando siano accertate anomalie del nascituro, in grado di provocare pericolo fisico o psichico per la salute della donna. La legge prevede anche che l’aborto debba essere eseguito in strutture pubbliche o presso case di cura autorizzate e rafforza l’attività dei consultori per assistere le donne in gravidanza ed eventualmente aiutare ad evitare il ricorso all’aborto. La 140 ammette anche l’obiezione di coscienza da parte dei medici e del personale sanitario, fermo restando che le strutture sanitarie debbano comunque garantire il servizio. Il numero di aborti legali in Italia, secondo gli ultimi dati (2006), è in diminuzione: circa 130mila all’anno (9,4 per mille donne feconde) . La punta massima è stata toccata nell’82: 235mila (17,2).
Tra le questioni discusse la certificazione di «pericolo psichico» per la donna ai fini di aborto terapeutico, di cui secondo l'accusa di parte cattolica, si abusa, e la non completa attuazione della rete di consultori di assistenza. Da parte laica si contesta il fatto che in molte strutture pubbliche è difficile praticare l’aborto a causa dell’alto numero di obbiettori di coscienza. Altra questione riguarda i tempi, non fissati dalla legge, entro i quali è possibile effettuare l’aborto terapeutico: normalmente non viene effettuato dopo la 24esima settimana, ma si pone il problema, dalla 21esima in poi, se e quando sia opportuno rianimare il feto con segni vitali. Il ministero ha stabilito che fino alla 22esima settimana e 6 giorni al «neonato debbano essere offerte solo cure compassionevoli». Altra polemica infine riguarda «l’aborto selettivo» , quando , in caso di gravidanze plurime ( spesso in seguito a fecondazione assistita ) si interviene per eliminare uno dei feti risultato
PILLOLA DEL GIORNO DOPO - Farmaco utilizzato come contraccettivo post-coitale, che deve essere assunto entro 72 ore dal rapporto sessuale. Da non confondarsi con la pillola abortiva. Il più utilizzato è a base di un progestinistico (il levonorgestrel ), uno dei componenti della pillola anticoncezionale, ma in dosaggio molto più alto, che impedisce l’ovulazione o, se questa è già avvenuta, l’annidamento dell’ovocita. L’efficacia è proporzionale al tempo trascorso: entro 24 ore ha un’efficacia del 95%, a 72 ora cala al 9%. Deve essere prescritta da un medico o un ginecologo. Secondo la legge italiana non sarebbe ammesso il diritto del medico all’obiezione di coscienza, ma un parere del comitato nazionale di Bioetica ha aperto a questa possibilità. Anche per questo si discute, a livello europeo, se porla in vendita senza ricetta ( come avviene in Spagna). Nel 2007 ne sono state vendute in Italia 342mila confezioni
PROCREAZIONE ASSISTITA - Insieme delle tecniche mediche che hanno l’obbiettivo di ottenere una gravidanza nelle coppie con problemi di sterilità o infecondità. Si utilizza l’inseminazione artificiale, nella quale il seme maschile raccolto attraverso masturbazione viene artificialmente depositato all’interno del corpo della donna, dove avviene la fecondazione. Oppure la fecondazione artificiale, in cui spermatozoi e ovuli ( estratti con aspirazione) vengono raccolti in provetta dove, con diverse tecniche, avviene la vera e propria fecondazione. Gli embrioni così creati vengono successivamente trasferiti nell’utero della donna che è stata preventivamente trattata con elevati dosaggi ormonali di progesterone per permettere l’annidamento nell’endometrio. Vengono creati e impiantati più di un embrione per volta per aumentare le probabilità di ottenere una gravidanza, che non superanono il 40% per embrione. In Italia la procreazione assistita è oggi regolata dalla legge 40. Le questioni etiche connesse a questa tecnica (Fivet) riguardano gli embrioni in più ottenuti e non trasferiti in utero (embrioni sovranumerari), che possono essere conservati per congelamento; il numero degli embrioni trasferiti, che devono garantire la gravidanza ma scongiurare il rischio di gravidanze plurime, e l’eventuale «selezione degli embrioni».
RU486- E’ la sigla che indica un farmaco, a base di mifepristone, la cui azione indice un aborto farmacologico. E’ detta anche pillola dell’aborto. Può essere utilizzata entro il 49° giorno dalla gravidanza, agisce bloccando un ormone che è indispensabile alla sopravvivenza dell’embrione. Inventata dal francese Etienne-Emile Baulieu, 26 anni fa, è stata approvata prima in Francia (1988) poi in altri 21 paesi. E’ stata utilizzata finora da 1 milione di donne, l’efficacia è del 95-96%. In Italia è stata sperimentata dal 2005 (0,9% degli aborti volontari) ed è stata approvata quest’anno. L’uso è solamente ospedaliero e prevede due ricoveri: nel primo viene somministrata la pillola, nel secondo un altro farmaco (prostaglandina) che induce l’espulsione del feto. Può provocare sanguinamenti e dolori addominali. Negli Usa , nel 2000, furono riscontrati 6 casi di morte in seguito all’uso della pillola: secondo l’FDA , che ha confermato l’approvazione, le morti furono dovute a un’infezione di un batterio (clostridium sordelli), causata da un cattivo uso della pillola. All’uso della RU486 si oppongono diverse associazioni di medici cattolici, che reclamano rispetto a questo trattamento il diritto all’obiezione di coscienza.
SELEZIONE DELL’EMBRIONE - Nella procedura di fecondazione assistita, c’è la possibilità di controllare con un esame genetico (diagnosi reimpianto) la qualità degli embrioni da trasferire in utero per portare a termine la gravidanza e di scartare quelli che eventualmente presentano alterazioni genetiche. Tale pratica è espressamente vietata in molte delle legislazioni riguardanti la fecondazione assistita, in quanto considerata una forma di eugenetica. La diagnosi e quindi la selezione è espressamente vietata in Germania, Svizzera, Austria, mentre in Italia la legge non la vieta esplicitamente la diagnosi, ma obbliga al trasferimento in utero di tutti gli embrioni fecondati, anche se risultassero malati. La diagnosi preimpianto è invece permessa in Francia, Spagna, Danimarca, Gran Bretagna e diversi stati americani, nel caso in cui ci siano forti probabilità di trasmettere una malattia genetica in quanto i genitori ne sono portatori. Ha fatto discutere in Italia nel 2007 la sentenza del tribunale di Cagliari che ha ammesso la selezione dell’embrione in un caso in cui entrambi i genitori erano portatori del gene della talassemia.
TESTAMENTO BIOLOGICO - Atto formale per permettere ai cittadini di dare indicazioni sui trattamenti medici a cui essere o non essere sottoposto, nel caso in cui la vita dipenda soltanto da supporti tecnologici o interventi artificiali (per esempio l’alimentazione), non ci sia possibilità di miglioramento e impossibilità di comunicare coi medici in seguito alla malattia. Il testamento potrebbe anche comprendere indicazioni sull’uso del corpo o parti di corpo (organi da trapiantare) dopo la morte. E’ detto anche «Direttiva di fine vita» o «Dichiarazione anticipata di volontà», in inglese «Living Will». E’ regolato per legge o applicata per prassi in diversi Paesi ( Stati Uniti, Francia, Danimarca, Olanda, Belgio, Australia, Gran Bretagna), in Italia sono stati presentati nell’attuale legislatura 11 disegni di legge, ma non si è trovata un’intesa comune. Per alcuni è considerato una semplice estensione del «consenso informato», che riguarda qualsiasi tipo di cura, da altri è visto come una forma di «eutanasia passiva». Tra le questioni controverse il suo valore vincolante per i medici, non accettato da una parte della categoria, la possibile nomina di un «fiduciario», anche al di fuori della famiglia, che abbia il compito di far eseguire la volontà e la scelta di un’autorità (comitato etico o magistrato) che regoli eventuali controversie.
L’universo della bioetica si presenta in modo articolato e complesso, "bioetica si dice in molti sensi", di cui presentiamo sommariamente due linee di tendenza che si collegano alla visione generale dei rapporti tra scienza ed etica : quella di coloro che ritengono che la bioetica debba sorgere "dall’interno" della ricerca bio-medica (e quindi non possa venire "imposta dal di fuori" e quella di coloro che pensano che la bioetica sia una parte dell’etica. Al primo gruppo si può far corrispondere quella che si autodefinisce "bioetica laica", al secondo quella che si autodefinisce "bioetica personalista".
La bioetica laica
Dal punto di vista cronologico possiamo dire che le discussioni nell’ambito della bioetica prendono di fatto le mosse dall’impegno e dalla sensibilità di uomini di fede, ma assistiamo ben presto al sorgere di una diversa prospettiva, oggi chiaramente dominante, che tenta di rivendicare una sorta di monopolio culturale, negando di fatto il diritto di esistenza a una bioetica religiosamente ispirata.
Una volta collocatisi all'interno del suddetto quadro teorico si prende atto del pluralismo etico che costituisce la situazione di fatto in cui ci si trova ad operare in campo bioetico: di fatto non pare possibile, oggi, fare appello a un'unica filosofia, a un'unica religione, a un'unica idea della "legge naturale", per poi fondare un'unica morale da cui dedurre precetti da applicare in ambito bioetico. Tale situazione "di fatto" viene assunta come l'unica possibile "di diritto" e le proposte che partono da tale constatazione si limitano, per lo più, a suggerire di trovare (in futuro) il massimo accordo possibile sui valori ritenuti più elevati.
Rimandiamo alla lettura del Manifesto di bioetica laica per una sintesi di questa prospettiva, di cui ci limitiamo a dare una mappa riassuntiva dei punti di riferimento essenziali:
Premesse da cui muove il ragionamento
Preso atto del fatto che non vi è un’unica etica universalmente condivisa si stabilisce che di diritto non ve ne possa essere una "assoluta", per cui si afferma essere possibile solo un’etica procedurale, basata sul libero accordo dei soggetti coinvolti.
Orizzonte ideale di riferimento
Il relativismo etico proprio della nostra cultura viene accolto pienamente, la bioetica diviene "contrattualistica", sulla linea di quello che già rappresentano i codici deontologici.
Criteri per decidere nei casi specifici
Il criterio principale consiste nella riduzione del valore della vita alla valutazione della sua "qualità"; il che avviene a due livelli: a) in rapporto al grado di sviluppo (per cui si distingue la "vita umana personale" dalla "vita umana non-personale", cioè si introduce una distinzione tra "essere umano" e "persona"; b) in rapporto alla qualità della vita fisica di certe persone (per cui si tende a giudicare quali vite siano degne di essere vissute). Un posto di rilievo ha anche il progresso scientifico tecnologico, visto come un fine in se stesso.
La bioetica personalista
La bioetica "personalista" si fonda su uno sguardo sapienziale che ritiene di poter cogliere alcuni elementi profondi della realtà umana. La realtà fisica in genere e quella umana in particolare non si presentano come una sorta di coacervo caotico di forze indecifrabili, ma come un cosmo ordinato e armonioso che supera e sfida la nostra intelligenza, ma non si mostra del tutto "impermeabile" ad essa. I dinamismi della realtà hanno un "senso" di cui noi possiamo cogliere qualche frammento. In tale contesto si riesce a capire che l’uomo è un essere vivente che, pur avendo molto in comune con altri viventi (in particolare con gli animali superiori), manifesta una sua superiorità in quanto dotato della capacità di conoscere intellettualmente, di una piena autocoscienza, della capacità di scegliere e amare in modo libero.
Tutte le volte che si entra in contatto con la realtà fisica di un uomo (come è il caso del medico con il malato) si entra per ciò stesso in contatto con la persona, con tutto il peso della sua dignità. In una visione di tal sorta le esigenze di rispetto della persona umana trovano un fondamento "forte", posto al di là delle mutevoli circostanze di tempo di luogo e cultura, dei mutevoli umori della pubblica opinione e degli interessi corporativi; di conseguenza anche i beni della vita fisica vanno tutelati perché partecipano della dignità di quell'unica persona composta di anima e corpo. Tra i valori della corporeità vi è dunque un'armonia gerarchica, fondata sulla natura umana, che risulta normativa per chi si trova ad agire sul corpo umano; in ordine possiamo individuare: 1) la vita, 2) la salute (fisica e psichica), 3) il benessere (emotivo, relazionale e materiale).
In tale prospettiva si ravvisa la necessità di collocare la bioetica all'interno della filosofia morale, come una sua branca specifica: quella che prende in esame la liceità o illiceità degli interventi sulla vita dell’uomo, specialmente quelli connessi all’agire degli operatori bio-medici.
Il suo metodo viene distinto in due fasi: a) analisi degli interventi in campo medico e biologico al fine di evidenziare in quali casi si pongano i problemi eticamente più rilevanti; b) individuazione della soluzione di tali problemi etici in rapporto ai valori di fondo della persona umana. In sintesi potremmo dire che il corretto rapporto tra ricerca scientifica e scelte morali viene concepito in senso "triangolare": il punto di partenza sono i fatti, intesi come opportunità di tipo scientifico e operativo messe a disposizione dalla medicina o dalle biotecnologie; analizzati con cura i fatti ci si può domandare quali sono i valori in gioco; infine si cerca di dare una risposta eticamente illuminata alle scelte concrete da compiere nei diversi casi specifici.
Ecco una mappa con alcuni punti di riferimento essenziali per una bioetica personalista:
Premesse da cui muove il ragionamento
La bioetica è una parte dell’etica: l’uomo in quanto essere libero e intelligente deve sempre rispondere di fronte alla propria coscienza di quello che fa, per cui ogni atto compiuto con piena avvertenza e deliberato consenso è soggetto alle leggi morali. La difficoltà sta, semmai, nell’individuare tali leggi, sia come singoli, sia all’interno di una cultura che - pur essendo di fatto relativista - non necessariamente lo rimarrà in eterno.
Orizzonte ideale di riferimento
Certamente si tratta di un’impostazione pienamente compatibile con la fede cristiana, ma l’orizzonte ideale di riferimento non è necessariamente di tipo teologico: per fondare i diritti fondamentali della persona umana è sufficiente riconoscerne filosoficamente la dignità in senso forte.
Criteri per decidere nei casi specifici
Il valore a cui si fa riferimento è la dignità ontologica della persona umana, che vale per quello che è e non per quello che fa, quindi va rispettata in modo assoluto, a prescindere dal suo stadio di sviluppo e dalla "qualità" della sua vita fisica.
Prof. Andrea Porcarelli – Docente di Pedagogia generale e sociale all'Università di Padova, Presidente del Centro di Iniziativa Culturale (Bologna), Direttore scientifico del Portale di Bioetica]
Fonte www.portaledibioetica.it
Il volume di Giovanni Russo, Il medico, identità e ruoli nella società, è stato edito dalla CIC – Edizioni Internazionali, a Roma, nel 2004. L’autore è professore ordinario di Bioetica nell’Università Pontificia Salesiana, presso la sede di Messina, Preside dell’Istituto Teologico “San Tommaso” e Direttore della Scuola Superiore di Specializzazione in Bioetica e Sessuologia di Messina. Il professore, autore di moltissimi altri saggi scientifici, non è nuovo alla trattazione di tematiche che abbiano per oggetto, direttamente o indirettamente, il campo medico, ma il “τέλος” di quest’opera è diverso, profondo, di certo molto avvincente. Egli afferma che la sua vuol essere “una proposta per riprogettare l’identità del medico”. Ma perché “riprogettarla? Cosa ha scoperto l’autore che non va nella classe medica? Da dove nasce l’urgenza di un cambiamento così radicale da ritenere addirittura necessario “riprogettare” l’identità del medico?Ebbene, chiunque abbia intenzione di ricevere delle risposte a cotante domande, altro non ha da fare che accingersi alla lettura del testo in esame, ove troverà esplicitate, punto per punto, tutte le riflessioni sulla classe medica e i cambiamenti auspicabili. A partire da un excursus storico reso interessante dalla fluidità del linguaggio dell’autore, nel quale è possibile rileggere la fatica con cui l’arte medica si è affrancata dalla magia e dalle superstizioni in generale, si giunge alla condizione del medico odierno che deve invece combattere ogni giorno con le sfide continuamente lanciategli dalla tecnologia e dalla società tutta. E nello sfogliare le pagine dedicate alla storia della medicina sembra quasi di vedere balzare fuori dai fogli le figure dei vari Ippocrate, Alcmeone, Imhotep, Celso o Galeno, tanto è plastico il racconto e pare naturale soffermarsi a riflettere anche su quella figura del Christus medicus che fornisce l’orizzonte assiologico al quale si ispira il medico cristiano e, passando oltre, giungere all’analisi lucida della svolta clinica e sociale del medico nel XIX secolo, quando esso si trova a fronteggiare il processo di secolarizzazione già in atto dal secolo precedente, che costringe la classe medica a relegare la matrice cristiana in un angolo per adeguarsi ad un’etica secolarizzata che comunque, se non altro, ribadisce la concezione dell’uomo in quanto “persona”. Ma questo medico si sente anche “tecnico”, è convinto di poter migliorare la qualità della vita dominando la patologia, è quasi pervaso da uno spirito faustiano, certo che la scienza e la tecnica renderanno possibile ciò che al momento sembra problematico e senza soluzione. Bene viene poi descritta la rivoluzione freudiana che ha tanto segnato la cultura contemporanea e la medicina: quello scomporre l’uomo riducendolo a mera sessualità, quel ricondurre ogni azione ad una pulsione sessuale e ogni atteggiamento ad una nevrosi, ha portato i medici, o almeno una parte di essi, ad indagare anche questa sfera dell’uomo, salvo poi scoprire che molte patologie nulla hanno a che fare con l’inconscio, se non quelle appunto di carattere neuropsichiatrico. Quando l’autore si avvicina ai nostri tempi, ci presenta un medico che quasi combatte per mantenere il suo prestigio in mezzo a tanta tecnologia. Oggi qualsiasi problema viene affrontato con l’ausilio delle macchine, perfino le diagnosi possono essere effettuate con il PC!! Per non parlare delle grande risorse offerte dalla telemedicina … ma è giusto veramente tutto questo? L’autore illustra i pro e i contro della telemedicina e mette in rilievo un grossissimo problema che attanaglia la classe medica odierna: il medico che agisce telematicamente perde di fatto gran parte delle caratteristiche del rapporto con il paziente, fino alla completa assenza del soggetto, come fare allora? Mentre il paziente si sentirà psicologicamente abbandonato dal medico, questi dal canto suo dovrà instillare fiducia e rispetto reciproco in chi si aspetta da lui comprensione oltre ad un’arida diagnosi resa telematicamente. Non sono pochi nemmeno i medici impegnati nella e-health, d’altronde ormai da tempo la salute viaggia in rete, tant’è che si parla di cyber-medicina e però anche su questo l’autore sente il bisogno di mettere i puntini sulle “i”: benché vi siano tanti pro, si corre il serio pericolo che non vengano rispettati i valori più elementari che sottendono al rapporto medico-paziente, è veramente necessario che il medico rispetti, pur non avendo nemmeno la più pallida idea di chi stia dall’altra parte dello schermo, la persona che il paziente rappresenta perché venendo a mancare questo, l’intero rapporto rimarrebbe spoglio di ogni possibile validità etica. E quando il medico si è trovato di fronte alle biotecnologie, alla bionica, alla clonazione e all’ingegneria genetica? In questo campo sì che si è manifestato lo spirito faustiano: il medico si è trovato di fronte alla possibilità di manipolare, quasi a piacimento, l’individuo e molti ci hanno anche provato, alcuni anche con fini nobili, esclusivamente tesi al miglioramento della qualità della vita, altri invece hanno proprio giocato a “sentirsi come Dio”, in mezzo a tutto ciò è forte la tensione etica che si avverte: come si può pensare di annullare l’unicità e l’irripetibilità della persona in nome di un presunto miglioramento della qualità della vita? E come ci si deve comportare di fronte a quei pazienti che chiedono al proprio medico di aiutarli a cambiare una parte del proprio corpo che non è più loro gradita? Per quanto il medico si trovi oggi a dover combattere anche con i problemi legati al processo di industrializzazione e al mercato della sanità: pur mantenendo saldo il concetto di diritto alla salute come inalienabile,ci si chiede se la salute sia da considerare una merce. La risposta data da Don Russo direi che mette d’accordo tutti: la salute non è una merce in quanto diritto fontale, ma ha i suoi costi e questi possono essere gestiti per mezzo di una buona economia di mercato eticamente solidale, che potrebbe dare respiro anche ai vari sistemi sanitari nazionali oggi troppo tartassati dai costi; forse così potrebbero essere compiute scelte razionali che non contrastino con il diritto alla salute come quelle inerenti alla chiusura dei reparti di terapia intensiva neonatale e non, già prese per mancanza di fondi. Ma allora quali caratteristiche deve avere un “vero” medico? L’autore avverte che è inutile desiderare un medico ideale, né identificarlo tout court con colui che è capace di rispettare alla lettera tutte le norme deontologiche: il medico è colui che risponde ad una “chiamata”, che è medico in ogni frangente della sua vita, non separando mai la professionalità dalla sua vita personale. Il “vero” medico è una persona onorabile in molti sensi, soprattutto perché si serve delle sue conoscenze per salvare la vita delle persone poi perché ha, o dovrebbe avere, delle peculiarità che lo contraddistinguono: è distinto, decoroso, usa la parola con cognizione di causa, o non la usa quando la ritiene superflua, è onesto e giusto, eticamente virtuoso, impegnato socialmente, cura la propria preparazione e si aggiorna continuamente, non è né laico né religioso e soprattutto ha una passione per l’uomo che rappresenta per lui fonte di successo nel momento in cui le sue cure producono effetti positivi in termini di salute e di qualità della vita. Il vero medico è quindi chiamato a “curare” e a “prendersi cura” del paziente, il cui mondo personale non gli deve essere sconosciuto, mai. E’ chiaro che non si deve scadere nel paternalismo ma nemmeno nel suo eccesso opposto, non si deve limitare l’autonomia del paziente, se non in casi estremamente particolari, determinati dall’autore come limiti contestuali, esistenziali e concettuali, occorre quindi agire sempre e solo nell’interesse del paziente. Probabilmente in questa società manageriale i “veri” medici non rappresentano la maggioranza, ma fino a quando ci sarà qualcuno che considererà l’altro come un valore e non come il mezzo per incassare assegni a iosa, potremo ancora sperare che la nostra classe medica ci aiuti a migliorare la qualità della vita nel rispetto delle nostre scelte personali, quando queste siano state prese con animo sereno.
La presente recensione ha per oggetto il volume di Giovanni RussoBioetica, Manuale per teologi,che ha visto la luce quest’anno, edito dallaLAS, a Roma, dopo quattro lunghi anni di lavoro. L’opera si inserisce nella sezione Lex vivendi - Ethica, della collana di Manuali e Sussidi per lo studio della Teologia, curata dalla Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, nata allo scopo di fornire una serie di manuali destinati agli studenti del primo ciclo istituzionale di teologia, per cui si può affermare giustamente che detta opera si colloca come strumento di formazione culturale all’interno dell’orizzonte degli studi di indirizzo teologico. Giovanni Russo, autore del libro, è professore ordinario di Bioetica nell’Università Pontificia Salesiana, presso la sede di Messina, nonché Preside dell’Istituto Teologico “San Tommaso” e Direttore della Scuola Superiore di Specializzazione in Bioetica e Sessuologia di Messina, inoltre, in qualità di bioeticista, fa parte del Comitato Etico e Tecnico Scientifico per la Sperimentazione dei Farmaci del Policlinico Universitario di Messina e del Direttivo del Comitato di Bioetica di Messina. A partire dalla specializzazione in Bioetica conseguita negli Stati Uniti, l’autore è presente da tempo nella letteratura scientifica con saggi che hanno toccato più e più argomenti bioeticamente rilevanti, ma per sua stessa affermazione, quest’opera vuol essere altro, andare oltre. Egli afferma di voler colmare una lacuna presente nel campo bibliografico della bioetica: mancava infatti un manuale che compendiasse sistematicamente tutti gli argomenti legati ad essa, un’opera alla quale fosse possibile attingere ogni volta che fosse stata ravvisata la necessità di fornire le argomentazioni necessarie ad avvalorare la “risposta” che la Chiesa dà di fronte a certi argomenti. In effetti chi oggi si accinge ad intraprendere gli studi teologici, non può non tenere conto del fatto che la bioetica sarà parte del suo “pane quotidiano culturale”, poiché nessun futuro teologo, né futuro insegnante di religione cattolica, potrebbe pensare alla sua formazione come ad un cammino avulso dalla società, per cui quest’opera risponde correttamente a questa esigenza. Per quanto il compito si presentasse arduo a causa dell’ampiezza della materia, l’autore è riuscito a dare una visione globale e delle problematiche inerenti la bioetica e dei suoi campi di applicazione, ricostruendone, pagina dopo pagina i fondamenti, fornendo al lettore tutti gli strumenti tipici di un’opera scientifica. Si parte dai chiarimenti in merito all’oggetto e alla natura della bioetica e dopo un excursus storico ed un ampio capitolo sui fondamenti biblici della materia, i restanti capitoli si snodano lungo tutti gli ambiti di ricerca: bioetica fondamentale, generale, medica, dell’alimentazione, sociale, ambientale e animale. Per coloro i quali abbiano già avuto un approccio con la bioetica, il manuale si presenta come un’occasione ghiotta per sistematicizzare meglio le proprie conoscenze, per verificare quanto se n’è capito e quanto era rimasto ancora un po’ nebbioso o oscuro, per verificare una volta di più, se ve ne fosse il bisogno, che i passi mossi verso il miglioramento della propria qualità di vita, intraprendendo tali studi, siano quelli giusti Per chi invece non abbia mai aperto un libro di bioetica ed ha una conoscenza degli ambiti di ricerca che si limita a quanto si legge sui giornali o si sente al telegiornale, certamente riterrà molto utile trovare qui la spiegazione dei fondamenti su cui si poggiano tante soluzioni che la Chiesa propone di fronte a certi temi (eutanasia, procreazione assistita, trapianti, cellule staminali, clonazione, aborto, suicidio, agricidio, diritti degli animali), così come potrà trovare risposta al bisogno di confrontare ciò che legge con le Sacre Scritture per trasformare una propria opinione in certezza. Inoltre, ad arricchire l’intera opera c’è un corredo bibliografico non indifferente che rappresenta una concreta prova dell’interesse che gravita intorno alla bioetica e della varietà di voci che ormai da quasi quaranta anni si leva intorno ad essa, e dal mondo della scienza, e quindi prettamente laico, e dal mondo religioso, cattolico in particolare. E’ possibile, sfogliando le pagine dell’opera, cogliere la diligenza e l’attenzione con cui l’autore ha cercato di trasmettere le sue conoscenze al lettore, con un linguaggio consono all’argomento e parimenti non oscuro, anzi, così lineare da spingere chi legge a riflettere su ciascuna delle pagine, confrontando continuamente ciò che si “pensava” di sapere in materia, a ciò che si apprende leggendo l’opera. Questo studio sistematico offerto dal Reverendo Russo ha certamente contribuito ad allargare gli orizzonti di chi scrive, nel senso che l’approccio totale che il libro offre alla materia è quanto di più completo ci sia stato dato di vedere nel panorama della letteratura scientifica odierna, poiché in un solo volume si è riusciti a compendiare tutte quelle argomentazioni che compongono il bagaglio culturale di un buon bioeticista, il quale sa di non potersi limitare ad una conoscenza superficiale, ma deve andare a fondo per essere sempre in grado di fornire quei fondamenti assiologici che danno significato alle sue affermazioni e alle sue conoscenze a chiunque gliene chieda spiegazione, in primis a se stesso. Infine, la quantità innumerevole di fonti citate, la cura nel fornire definizioni il più possibile chiare, la capacità di illustrare, senza annoiare, l’orizzonte di senso della prospettiva teologica cristiana, la puntualità e la rigorosità degli assunti rendono l’opera magistrale.